Pascal + Bruce
_ Qui trovate la puntata di Pascal in cui Matteo Caccia legge, come solo lui sa, un mio raccontino su Bruce. Qui invece la “extended” version del racconto.
_ Qui trovate la puntata di Pascal in cui Matteo Caccia legge, come solo lui sa, un mio raccontino su Bruce. Qui invece la “extended” version del racconto.
Siccome ognuno porta acqua al suo mulino (i proverbi a volte predicano un sano egoismo), volevo soltanto dire che il nuovo album di Lorenzo Cherubini aka Jovanotti è stato concepito, registrato e mixato, masterizzato in alcuni studi, tra cui: – Karakorum International Studio, Cortona (presto on line) – Pinaxa Rec. Studio, Milano – Kaneepa Rec. Studio, Milano
Questa è L’isola nella configurazione: sala regia che funziona anche come recording area. Fin dall’inizio l’idea è stata quella di progettare una regia abbastanza grande (circa 65 mq) da avere due zone/palchi per ospitare i musicisti in fase di registrazione. L’idea non è certo mia, anzi, ma di un certo Peter Gabriel, che quando si trovò a pensare a quelli che sarebbero stati i Real World Studios, volle uno spazio così (leggo dal sito dei RWS: “The traditional method of separating performers from each other and from the engineer(s) in isolated rooms felt both restrictive and a hindrance to the creative process”). Se ho deciso seriamente di fare questo lavoro è anche grazie a quella visione. In questo momento Mario Biondi sta registrando qui il suo nuovo lavoro, insieme con Alberto Roveroni. Grazie a Edoardo Dodi Pellizzari per questa foto super. E grazie anche a Gabriele Gigli per il supporto prima e dopo. more info qui.
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Post by Paini | Noise Maker + Silence Seeker.(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = "//connect.facebook.net/en_GB/all.js#xfbml=1"; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs); }(document, 'script', 'facebook-jssdk'));
Post by Dario Paini.Non so perchè non lo abbia mai messo online prima, e a dire il vero non lo so neanche ora. In ogni caso, ecco una sorta di diario di viaggio che ho scritto durante il viaggio con la mia vecchia Saab verso Copenhagen (cph), ben 10 anni fa. Ci andavo per finire il dottorato in acustica (“Agora Acoustics. Acoustics of public squares”). Ci sarei rimasto un anno e sarebbe stato uno degli anni più importanti della mia vita.
Ecco, chi ne ha voglia, può scaricare il mio diario, cliccando qui: Diario di bordo – VA – KBH. Sono una dozzina di pagine e ci sono pure delle foto. Buona lettura. D
– Il percorso prevede il pagamento di pedaggi. – Il percorso prevede una tratta in traghetto. – Questo percorso attraversa più Paesi.
…appena tornato da un viaggio di due giorni in cui ho fatto il pieno di cose belle. Ieri a Codroipo (che non è la marca di una marmitta truccata) per il concerto dei Radiohead e oggi a Venezia alla Biennale di architettura. In entrambe le due cose ho fatto una marea di foto così ho potuto unire le mie tre grandi passioni (musica fotografia architettura).
Because of poor acoustics, students in classrooms miss 50 percent of what their teachers say and patients in hospitals have trouble sleeping because they continually feel stressed. Julian Treasure sounds a call to action for designers to pay attention to the “invisible architecture” of sound.
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…disegnando gli esecutivi di un nuovo studio… è un’attività che ha un che di terapeutico… devi continuamente decidere il grado di dettaglio… volendo puoi spingerti fino all’infinitesimo, ma ti devi fermare immaginando il resto… (e poi toccandolo). Tutto si può trasformare in un frattale, il senso di vertigine è lì. A 1mm. Forse meno
Nuovi cantieri in corso, nuovi studi che prendono forma. Milano, Pescara, Venezia, Albinia, Genova… Persone (falegnami, impiantisti, elettricisti, muratori, etc.) alcuni dei quali mai visti prima lavorano ad un progetto condiviso…
Una settimanella fa è uscita questa sorta di intervista su “Lombardia Oggi”, inserto della Prealpina.
Qui sotto la versione integrale, che per ragioni di limite di battute, è stata “potata” qua e là.
…………………………………………………….. 1_ La località del Varesotto che lei ama di più? Il Sacro Monte e il Campo dei Fiori, per tante ragioni, anzi per tante non-ragioni… Il primo è un posto fuori dal tempo e …fuori luogo, in tutti i sensi. Ha un potere reale di calmare e di svuotare e di farti sentire nel posto in cui sei… Sei a mezz’ora dalla “maddy crowd” ma lì non arriva nulla di quelle tensioni. E’ un rifugio e un trampolino. Il secondo invece mantiene sempre quella dimensione da “into the wild”, è meno “umano” ma fa sentire bene la dimensione umana, umanamente piccola. In un certo senso ha lo stesso potere del Sacro Monte, anche se, almeno “ufficialmente”, non è così sacro…
2_ E quella che invece odia? Cerco davvero di non odiare nessuna terra, come si potrebbe? Siamo in debito costante con ogni granello… un granello che oggi calpesti magari un milione di anni fa o solo l’anno scorso era in Africa, o in America prima di Colombo…
3_ Dove va a cena? A casa o da amici, al limite a qualche pizza take away per poi tornare a casa… in effetti è molto raro che a Varese si esca per cena, i bambini non hanno bisogno di queste cose per grandi, loro sentono molto più forte il focolare, e a dir la verità anch’io. Se però dopo un concerto è tardissimo e abbiamo fame, beh, si va alla Capri, anche se non si chiama più così.
4_ Dove fa shopping? Shopping è una di quelle parole che mi fanno pensare male del genere umano. Se lo traduci vien fuori comprare, né più né meno e cade tutta l’illusione della cosa in sé. Lo shopping è una malattia di questi tempi così “moderni”. In ogni caso le cose che mi servono e che voglio acquistare (libri e dischi e nondischi) le trovo su Amazon, iTunes, nelle bancarelle del mercato, alle sagre.
5_ Una sera fuori (teatro, musica, cabaret): Varese o Milano? Musica (tanta), cinema (quando si può) e teatro (meno) ovunque càpiti, ovunque sia possibile una risonanza…
6_ Lo scenario ideale per una dichiarazione d’amore? La rocca di Angera (…Angera rocks).
7_ La strada più suggestiva da percorrere in auto? La A8 alle 3 di notte, senza tutor. E nell’autoradio qualsiasi cosa che spieghi il viaggio a modo suo, Bruce (sto pensando ai suoi fiumi, a “Born to Run” (con accenni all’ultima strofa, che spesso mi fa pensare)…), ma anche Miles, il Jova, i Radiohead, o… Una notte – finito di suonare a Verbania tardissimo, giro del lago per tornare – “of the girl” dei Pearl Jam ad un volume bassissimo. Io sempre più piano per non arrivare prima che la canzone fosse finita (per la 5^ volta). Sono arrivato secondo.
8_ La strada più brutta? La A8 alle 5 del pomeriggio. Con o senza tutor
9_ Il più grande pregio della provincia? Essere a metà tra tante cose, essere sulla frontiera di qualcosa, in potenziale contatto con tutto. Questa cosa la rende frizzante. E poi tutto quel verde e questi 7 laghi (anche se, quando li conto, arrivo a 6). C’è una potenza sconosciuta… In certi punti e in certi momenti ti potrebbe dire che sei, chessò in Canada, e ci dovresti credere.
10_ Il più grande difetto? Essere a metà tra tante cose… E’ una città di provincia e non perde quasi mai l’occasione di rivelare quanto sia provinciale. Me ne sono andato spesso, ma poi ritorno (a volte). Ma i miei migliori amici sono qui e quindi non posso che esserle riconoscente.
Professione: ingegnere acustico [www.paini.eu]: preparo lo spazio per ospitare la musica. Più o meno musicista (dall’89 suono con il Distretto 51 e dal ‘91 con mio fratello Gogo, negli Apple Pirates). Età: l’anno scorso 39 Sposato con la Madda, ho due bimboni, Adele (6) e Giorgio (4) Abito a Induno Olona, almeno per il momento, visto che è la casa #7 (come i laghi).
Nella foto sopra il risultato della potatura…
Ho imparato ad amare le foto con questa pellicola. Le nottate in cucina (camera oscura) con mio padre che mi insegnava a svilupparle. E poi vedere la foto nascere pian piano dall’acido, e poi arrestarla e poi appiccicarla sulle piastrelle e poi rivederle al mattino prima della colazione, prima di andare a scuola. Tutto in una stanza di 3 x 3. Altro che cielo. Lì c’era tutto l’universo. Dopo uno scatto bisognava aspettare chissà quanto prima di rivedre il risultato. Ora la frase tipica dopo una foto è “fammi vedere”. Prima era solo un pensiero silenzioso “speriamo che sia venuta bene”.
Il digitale è un mondo stupendo (non sono certo un nostalgico e nemmeno un reazionario) – ha accorciato i tempi, è tutto più facile (non necessariamente più semplice), ma in cambio abbiamo perso qualcosa, che aveva il suo valore. Una volta un rullino da 36 mi durava un sacco di tempo, ogni foto era vissuta, ora arrivo a 100-200 foto al giorno, ma molti sono scarti ancora prima di essere scatti, perchè c’è una pressione del dito ma il dito non è collegato con niente, spesso nemmeno con l’occhio. C’è fretta nel premere ma non c’è l’urgenza (‘inner urge’). C’è un tentativo casuale (che può anche andare bene alle volte), non c’è uno scopo e nemmeno un obbiettivo. Nessuno lo è più. Dobbiamo ricordarci com’era fare una foto con l’analogica e ricercare quello stato che è interiore. E’ un’opportunità di presenza.
Il digitale è talmente potente che rischia di renderci impotenti e inconcludenti, mentre una volta con tutti quei vincoli eravamo lì, non c’erano santi.
La stessa cosa succede con tutto ciò che è diventato digitale, il disegno, la musica, la scrittura, etc.
Essere analogici in un mondo digitale può salvare il mondo
Trovo estremamente interessante il saper riconoscere i suoni e a partire dai suoni capire l’origine dei materiali, la loro pericolosità, la forma, il calore, il colore… I suoni sono infiniti e tutto diventa più complicato. Un lavoro di sintesi è necessario.. e tutto diventa semplice. Non facile.
_ Qualche anno fa ho seguito un seminario tenuto da un professore giapponese. Prima di cominciare disegnò alla lavagna due cerchi: un piccolissimo cerchio e uno che prendeva quasi tutta la lavagna (avrebbe usato il muro se avesse potuto).
“Il cerchio più grande rappresenta La Conoscenza. Quello più piccolo la nostra conoscenza”
Succede sempre così. Ogni volta che riesco ad abbandonare i pensieri per un po’ (è una non-azione il lasciare andare), arrivano come per incanto le idee migliori. I pensieri in fondo non si auto-alimentano più di tanto e non hanno tutto quel potere che pensiamo che abbiano. Ma perché io sia in grado di abbandonare i pensieri (spesso ricorrenti) occorre, almeno nel mio caso, almeno in questo caso, stancarsi molto. Si tratta di una stanchezza “completa”, che investe tutto di me. Sono alcuni giorni che dormo pochissimo, qualche ora per notte, mille cose in testa. Stasera ero sul treno, salito un attimo prima, e poco dopo già dormivo seduto e storto su quel sedile per nani. In quei minuti lunghissimi di sonno non ho sognato perché non ce n’era più bisogno in fondo, non c’era nulla da dire o da fare. Solo rilassare i pensieri e il corpo, un po’, attraverso il sonno, questa volta. Al risveglio i pensieri erano ancora calmi, come soffioni di tarassaco quando non c’è vento, per terra, tutto in un equilibrio instabile, calmo e all’erta. In quel breve momento, taac, è arrivata un’idea per uno studio che sto disegnando, e dire che erano almeno un paio di settimane, no di più, che ci stavo “pensando”. In realtà fino a quel momento il mio pensiero aveva generato solo moti turbolenti, un rincorrersi di immagini tipo domino, nulla né di veramente logico né di veramente sul pezzo. Ma la stanchezza grazieadio ad un certo punto arriva e ti impone di fermarti, a suo modo; e quello che succede attraverso questa resa non è la sconfitta ma il dono della ricezione.
“Sound is what comes out of your practice” [Shunryu Suzuki]
Caro Gogo, mi chiedi di scrivere qualcosa di qui, di CPH, o KBH, a seconda. Così spero che le prossime righe, prese a caso tra i miei ricordi recenti, ti invitino a voler respirare quest’aria, così diversa. Sì, perché qui si respira la calma. È difficile spiegarsi, ed è difficile anche accorgersene, credo, se si viene qui come turisti. Perché il turista, essendo di passaggio, non può che assaggiare e andare via, e la calma, si sa, non è amica del poco tempo, o di un solo w-end (weak end). È come il basso in una band, hai presente? C’è ma non si sente, o meglio deve scomparire per accorgerti che prima era lì, ad avvolgere ogni cosa in maniera discreta. La discrezione. E la calma. Intorno. Ecco quello che sento dopo 2 mesi che vivo qui. Così, spesso le persone, anche, diventano invisibili, almeno per noi che abbiamo bisogno che una cosa sia stra-ordinaria per accorgerci della sua presenza. È strano ma è così: impari a sorprenderti delle cose normali. Notare la discrezione, la calma, le cose che sembra facciano di tutto per sfuggirti. Così, le cose non hanno bisogno di sembrare qualcos’altro. (Le case sono a forma di casa.) (Le persone ti sembreranno fredde, ma fa parte della parte, è coerente con il loro modo di apparire sfocati.) Tutto sembra così in tema, così, appunto, in linea con ciò che è intorno. Tutto è luminoso ma pacato come la luce decisa da questa latitudine. Non c’è nulla che abbaglia, che fa sensazione, che colpisce. Si tratta, semmai, di un pugno al rallentatore: hai tutto il tempo per spostarti, ma poi decidi (senti) che vale la pena di rimanere lì, per farsi colpire da un cosa che nel frattempo si è trasformata, per forza di cose, in una specie di carezza. Così, alla fine impari ad osservare proprio ciò che rimane nascosto. Forse sotto sotto ti aspettavi che ti parlassi dei palazzi, dei monumenti (di certe statuine), o del fatto che qui il vino italiano costa meno che in Italia (“poritalia”), o che CPH (o KBH?) è semplicemente bellissima (it’s wonderful); ma in fondo queste cose le puoi trovare in qualsiasi guida, e scritte anche meglio. Ho preferito raccontarti la normalità, quella di tutti i giorni, e così diversa dalla nostra. Un mondo dietro un sottilissimo strato di carta velina. [dariopaini (c) per un numero di Thea. Cph, aprile 2004, dentro un bar bellissimo, dove si può bere un caffè, leggere un libro preso dalla libreria o portato da casa. L’Adele non era ancora nata ma era già con noi]
Cliccando qui è possibile scaricare l’articolo completo pubblicato sul numero 11 di Arketipo.
dal 4′:40” – 4′:43″ sono svizzero!
Festival della Creatività 2008: incontro con Jovanotti from Festival della creatività on Vimeo.
Di ritorno da Sciacca dove in due giorni abbiamo costruito a mano una parete di mattoni fatti a mano, che farà parte dello studio di registrazione di Ivan Segreto, gran pianista e gran cantante e gran persona.
Interessante fare quello che uno di solito disegna con qualche grammo di mina di matita… molto più pesante la materia, ma ti permette di tenere i piedi per terra, di non fare voli inutili e/o inutilizzabili (non si può fare tutto ciò che uno ha in testa). E quindi di volare con una direzione in testa… Si tratta di una parete con proprietà diffondenti dal punto di vista acustico, realizzata secondo un algoritmo (segreto) che arriva da un calcolo complesso. Ora è tutto lì, in piedi. Fierezza.
Di fianco ci metteremo il piano a coda di Ivan e il suono che tornerà indietro sarà bello caldo, perché ci saranno gli echi del forno, della terra, del cielo di Sicilia, di tutto in fondo… Grazie ai ragazzi che mi hanno aiutato a fare una parete “a minchia di cane”!
Hanno contribuito alla perfetta riuscita della parete: – Benedetto Solano, (titolare dell’impresa) detto “BBinirittu” con funzione di capu mastru; – Giuseppe Anaclio, addetto alla posa in opera di marunazza, detto “Pippo” con funzione di mastru; – Vincenzo detto “Enzo”, addetto alla quacina con funzione di picciottu o anche detto “mezza cazzola”.
Da loro ho imparato/intuito un sacco di cose, il silenzio, l’essere lì, proprio lì, l’arte del fare, la calma. Che bellezza! Grazie a Massimo Trapani, esimio architetto (progettista di tutto il resto della casa, che è un incanto), per i consigli sempre speciali e alla famiglia Segreto/a per l’ospitalità fuori dal comune.
Vostro, Dariuzzu
[articolo pubblicato sul sito dell’Orlando]
In treno, di ritorno da Cortona, dove i fortezzari si sono riuniti per sentire le cose e tradurle pian piano in idee linee cose. Sto scrivendo sul mio taccuino, a mano (è così liberatorio potersi permettere di non usare il computer ogni tanto); magari sul treno è un po’ più difficile… è come se qualcuno ti desse continuamente degli spintoni sul gomito, porcaeva). Ma resisto.
_ Sto pensando che le case vivono di più dell’uomo che ci vive. Tra 150 anni tutti i luoghi del mondo saranno abitati da altre persone. Sto pensando alla percezione del tempo che noi esseri (più o meno) umani abbiamo. Un secondo dura un secondo, lo sentiamo come un secondo. E allo stesso modo un anno dura un anno. Per una stella un anno dura meno di un respiro di un colibrì, un secolo è ancora poco. Per una casa anche. Non come una stella ma neanche come un uomo… Sto pensando alla Fortezza (qualcosa di nuovo per me che non la conoscevo) che è lì da un sacco di tempo, ma forse per lei è solo passato il tempo necessario per diventare qualcosa d’altro. Un periodo di transizione. In fondo una grossa nave ha bisogno di tempo per cambiare rotta. C’è una processione di eventi lenta e velocissima che porta inevitabilmente al tempo presente. Che cosa facciamo ora? E’ la domanda giusta? Non lo so. Che cosa siamo ora? Già meglio. Come relazionare la nostra percezione del tempo con quella di una casa, che vive più di noi? Come rispettarla e allo stesso tempo “invaderla” con sane idee per farla vivere in un altro modo? Dobbiamo chiederle il permesso. In fondo entriamo in un corpo e la cosa mi sa di violenza se lo fai senza pensare e senza sentire. L’altro giorno mi ha scritto Lorenzo e mi ha detto: “dobbiamo andare lassù insieme e sentire le cose col corpo”. Dobbiamo sentire con il corpo le cose che ha da dirci Lei. Poi agiremo di conseguenza. Lei e suo marito, il Genius Loci! Entrare in un posto e farsi consigliare da Lui è un’esperienza quasi mistica, perchè il linguaggio non è quello ordinario, e non parte dalla testa… Ed è un dialogo se solo siamo capaci di ascoltare e di parlare con quel linguaggio. Mi chiedo se sarò all’altezza, è inevitabile pensarlo. Ma poi il passo va fatto e sentito. Se sarò lì nel suo e nel nostro tempo allora sarò all’altezza, altrimenti no. Il posto, come un vecchio nonno, ti racconta la sua storia e tu la ascolti, non per addormentarti e sognare, ma per permettere un collegamento preciso e profondo con la storia che ti ha portato fino a qui. Ora. Difficile ma inevitabile.
[articolo pubblicato sul sito dell’Orlando]
Qui proprio qui puoi scaricare l’ultima parte della mia tesi di laurea (AA ’97-98) (che analizzava un sw di simulazione acustica…).
La fragilità del nostro cammino è provocata dalla fragilità discreta di miliardi di fiocchi di neve che, cadendo, prendono il posto delle solite cose colorandole di un bianco passeggero. Così noi, anche noi passeggeri, aspettiamo. Cercando un equilibrio
[Odense, 2004]
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